Verona, 21 agosto 1862 – Torino, 25 aprile 1911
Emilio Salgari
Verona, 21 agosto 1862 – Torino, 25 aprile 1911
Scrittore e giornalista
Emilio Salgari, il maggiore narratore italiano d’avventure, nacque a Verona, il 21 agosto del 1862, da genitori benestanti: Luigi, commerciante e proprietario terriero, e Luigia Gradara, di buona famiglia. A scuola non si distinse, se non per i suoi forti interessi geografici e storici. Giovanissimo, nel 1878, dopo aver terminato la Scuola Tecnica, lasciò Verona e s’iscrisse all’Istituto Nautico di Venezia, senza però acquisire l’ambito titolo di Capitano di Gran Cabotaggio. Millantò comunque di aver conseguito il brevetto e di aver solcato mari ed oceani, mentre, forse, si era soltanto imbarcato sul trabaccolo Italia Una che lo aveva condotto da Venezia a Brindisi.
Ritornò a Verona successivamente alla grande piena dell’Adige, sul finire del 1882. Dopo aver contribuito alla stesura di Angiolina, romanzo d’impronta manzoniana del suo anziano insegnante di italiano, Pietro Caliari, iniziò a collaborare, nella seconda metà del 1883, con la “Nuova Arena”, diretta da Ruggero Giannelli. Sul quotidiano veronese, commentò gli avvenimenti di politica internazionale usando lo pseudonimo di Ammiragliador (1883-1885), si occupò di cronaca teatrale come Emilius (1883-1885) e scrisse, in rapida successione, un lungo racconto e due romanzi di appendice – Tay-See (1883), La Tigre della Malesia (1883-1884) e La favorita del Mahdi (1884) – dando vita, sin dai suoi esordi letterari, alla saga del principe bornese spodestato, Sandokan, che lo avrebbe accompagnato sino alla fine dei suoi giorni. Il giovane Salgari si distinse anche come ciclista (era il presidente fondatore del Circolo Velocipedistico, poi confluito nel Veloce Club), ginnasta, schermidore e revisore dei conti della Società Bentegodi.
Nel marzo 1885, per migliorare le sue condizioni economiche, passò all'”Arena”, diretta da Giovanni Antonio Aymo, dove lavorò sino alla fine del 1893, allorché si trasferì a Torino per collaborare, senza vincoli contrattuali, con gli editori Speirani e Paravia e iniziare la sua intensa attività di scrittore di professione con altri editori nazionali: Bemporad, Cogliati, Treves, Voghera. Nel 1892, aveva sposato Ida Peruzzi, attrice col nome di Aida in una compagnia amatoriale dalla quale ebbe quattro figli: Fathima, Nadir, Romero e Omar.
Nel 1896, intensificò la sua collaborazione con il genovese Antonio Donath, probabilmente l’editore che meglio seppe cogliere le grandi potenzialità del romanziere. Nel 1898, prese alloggio in Casa Rebora di via Vittorio Emanuele in Sampierdarena, vicino a Genova, per ritornare definitivamente a Torino due anni più tardi, forse perché la moglie desiderava vivere vicino all’ampio nucleo dei Peruzzi, trasferitosi al completo da Verona alla città sabauda. È un periodo di frenetica attività in cui Salgari scrive alcune delle sue opere migliori. In quegli anni di felice vena, infatti, licenziò I misteri della Jungla Nera (1895), I robinson italiani (1896), Le stragi delle Filippine (1897), Il Corsaro Nero (1898), La capitana del Yucatan (1899), Gli orrori della Siberia (1900), La montagna di luce (1902), I figli dell’aria (1904), L’uomo di fuoco (1904), Le due tigri (1904), Il Capitan Tempesta (1905), Le figlie dei faraoni (1905), Le aquile della steppa (1907), Cartagine in fiamme (1908).
Non era ricco, ma nemmeno povero, come raccontano i più: poteva assicurare alla sua famiglia una vita decorosa. Nel 1906, sottoscrisse un buon contratto con Enrico Bemporad che gli garantì un sensibile miglioramento delle sue condizioni economiche, senza dimenticare che sin dalla seconda metà degli anni Novanta dell’Ottocento aveva sottoscritto altri importanti e vantaggiosi contratti con agenzie ed editori esteri per la diffusione dei suoi romanzi nei paesi di lingua francese, slava e tedesca. Merito, probabilmente, di Edoardo Spiotti, accreditato come suo agente, che commerciava anche con i paesi di lingua spagnola e portoghese dove Salgari conobbe, ancora vivente, un notevole successo. In cinque anni di attività scrisse per l’editore fiorentino una ventina di romanzi, tra cui La stella dell’Araucania (1906), Le meraviglie del Duemila (1907), Il tesoro della montagna azzurra (1907), Il re dell’aria (1907), Sandokan alla riscossa (1907), La scotennatrice (1909), I corsari delle Bermude (1909). Tuttavia qualcosa non funzionò, i ritmi rallentarono e i testi dati alle stampe si ridussero di numero. Con Bemporad volle pubblicare, al di là degli impegni contrattuali, anche l’unico romanzo a sfondo autobiografico, La Bohème italiana (1909), in cui era evidente il riferimento al movimento Scapigliato. Si tolse la vita – “spezzo per sempre la penna”, lasciò scritto in una lettera – il 25 aprile 1911, “prostrato dal ricovero della moglie in manicomio e dall’inquietudine prodotta da un’ispirazione che tendeva a inaridirsi”, dall’atteggiamento della critica accademica che non aveva riconosciuto la modernità della sua proposta letteraria e da pressanti problemi economici indotti, assai probabilmente, da una cattiva amministrazione delle sue risorse.
Le prove letterarie di Emilio Salgari appartengono alla memoria e alla storia degli italiani, dei quali, in ambito romanzesco, seppe rappresentare le pulsioni, le inquietudini, gli interessi e le mode del tempo. L’autore veronese, di formazione positivista, non era soltanto la firma più conosciuta della letteratura avventurosa, ma anche la punta avanzata di un ampio movimento culturale nazionale che guardava verso il misterioso ed esotico mondo orientale, coinvolgendo, per fare qualche esempio, letterati come Paolo Mantegazza, Angelo De Gubernatis e Gabriele d’Annunzio, e che esprimeva l’ambizione di una giovane nazione di conoscere ed esplorare le terre, i mari e i cieli.
Emilio Salgari rappresentava, e rappresenta, nel nostro paese l’alternativa al novel, al testo che scava in profondità, che ha come riferimento i caratteri e l’introspezione dei personaggi, la realtà contrapposta al sogno, alla fantasia e alla fiction. Salgari è stato ed è, invece, un autore universale, un grande classico della letteratura moderna che ha sperimentato, prima e più di altri, la possibilità del romance, l’invenzione letteraria, così come avevano fatto nei loro paesi d’origine Conan Doyle, Fenimore Cooper, Dumas, London, Poe, Stevenson e Verne, autori da lui conosciuti e ammirati insieme ai meno noti Aimard, Boussenard e Mayne Reid.
In Salgari, l’azione prevaleva sull’immobilità. Come nella miglior letteratura statunitense, il viaggio, e, dunque, il movimento, era condizione preliminare alla nascita del romanzo, tant’è vero che nella fase che precede la scrittura egli fissava volentieri le tappe di un itinerario necessario allo sviluppo della trama e, a questo fine, non disdegnava di tracciare, preliminarmente, una carta geografica.
Salgari esercitò “una forte suggestione” su intere generazioni di scrittori d’avventure (Mario Contarini, Emilio Fancelli, Aristide Gianella, Luigi Motta, Antonio Quattrini, Yambo). A molti di loro offrì spazio sulla rivista “Per Terra e per Mare”, da lui diretta tra il 1904 e il 1906, sperimentando, per primo, le possibilità della letteratura di genere in Italia: dall’avventura al poliziesco, dalla fantascienza all’horror. Un’influenza che perdura nel tempo, se autori come Gian Luigi Bonelli, Mino Milani, Valerio Massimo Manfredi e Valerio Evangelisti gli sono ancora oggi in qualche modo debitori.
Lo stile di Salgari (unico e inimitabile) apparteneva alla lingua “comune”, cui, nonostante un uso eccezionale di vocaboli tecnici ed esotici, cercava di aderire. Anzi, gli eccessi e le iperboli rendevano più limpide le sue trame. Lo leggevano tutti, giovani e vecchi, uomini e donne, eruditi e persone meno colte. In questo senso, Salgari era, ed è, un autore popolare come nessun altro. I suoi romanzi e i suoi racconti conservano ancora oggi un buon ritmo narrativo e intrecci interessanti. Egli era un grande narratore, uno straordinario creatore di storie, di caratteri e di personaggi e, per questa sua imprescindibile dote, intere generazioni di lettori sono state conquistate dalle gesta dei suoi inossidabili eroi, impegnati nell’eterna lotta tra il bene e il male, e dal forte stuolo di comprimari che popolavano le sue saghe: tutti a lui felicemente sopravvissuti.
A partire dalla fine degli anni Sessanta, grazie allo straordinario lavoro di recupero filologico ad opera di Mario Spagnol e Giuseppe Turcato, e con più continuità negli ultimi quindici anni, gli studi salgariani sono cresciuti in quantità e in qualità. Si tratta di un lavoro ampio e qualificato non ancora censito, proveniente, in parte, dal mondo dei lettori e degli appassionati e, in maniera più estesa, da numerosi nuovi studiosi, italiani ed esteri, che hanno segnato tappe importanti nello studio dell’opera salgariana, restituendo Emilio Salgari alla storia della Letteratura Italiana e Occidentale da cui, ingiustamente e per tanto tempo, era stato tenuto ai margini.
Claudio Gallo